STUDIO SPERIMENTALE E SCIENTIFICO DEL SUICIDIO
Il Suicidio è un atto conscio di auto annientamento, meglio definibile come uno stato di malessere generalizzato in un individuo bisognoso che alle prese con un problema, considera il suicidio come la migliore soluzione. L’atto suicidario ci porta sempre spunti di riflessione, e spesso si indaga per cercare di voler dare necessariamente delle risposte che non ci sono. Secondo uno studio di due Università Americane, ogni anno 1.5 milioni di persone si tolgono la vita. L’Osservatorio della Difesa, appurato l’allarmante escalation del fenomeno, ha evidenziato che solo il 13% dei suicidi è riconducibile a cause psichiatriche.
Con l’Interrogazione Parlamentare N. 3-02082 del 15 Settembre 2016 sono stati pubblicati i numeri riferiti al quinquennio 2009/2014 dei suicidi tra le Forze dell’Ordine e le Forze Armate: nella Polizia 62 suicidi, nell’ Arma dei Carabinieri 92 suicidi, nella Guardia di Finanza 54 suicidi, nella Polizia Penitenziaria 47 suicidi. Le armi da fuoco, nella quasi totalità dei casi sono quelle di ordinanza. I dati, ad oggi, registrano un preoccupante incremento, nel 2019 si sono registrati 69 suicidi totali, nel 2020 sono stati 51. Dall’inizio del 2022 si contano già i ben 26 casi di suicidio.
Dare una risposta rispetto alle cause è cosa difficile e quanto meno riduttiva senza un adeguato studio, ma studiando le caratteristiche proprie di ambienti militari e paramilitari, è evidente quanto la “debolezza” non venga concepita nell’expertise di ogni Militare. Vista la complessità e multifattorialità del fenomeno, non ascrivibile a semplici correlazioni causa effetto che eccedono le categorie diagnostiche, i dati empirici a disposizione diventato comunque uno strumento psicometrico importante per individuare i fattori di rischio più rilevanti e le strategie per migliorare i fattori di protezione, integrando i concetti fondamentali di probabilità e rischio.
DUE FATTORI DI RISCHIO – LE ARMI E LA LIMITAZIONE ALLA PERSONALITA’
Tra i fattori di rischio, si individuano due macro categorie
- quelli ambientali, accessibilità e disponibilità di armi da fuoco
- quelli bio psico sociali, legati all’elevato grado di controllo sul personale da parte delle organizzazioni stesse, che limita l’affermazione del proprio se, confinando l’espressione di personalità relegando il Militare ai soli doveri della Libretta.
Un militare che inconsciamente rivendica la posizione di uomo libero e autodeterminato, non sotteso ai meccanismi di subordinazione della linea di comando, e trovando in alcuni casi nel suicidio il significato di fuga liberatoria.
Non da meno lo sradicamento forzato dal luogo di origine limitando i punti di riferimento e il sostegno familiare è un altro aspetto rilevante da tenere in considerazione. Non ultimo il contesto storico culturale che ha trasformato enormemente il riconoscimento della divisa e il rispetto per colui che la indossa. Il valore stesso che l’opinione pubblica riconosce alle persone in divisa si è deteriorato o comunque ridimensionato. Allo stato attuale le attività di prevenzione sono limitate alle visite di controllo all’atto della selezione iniziale con test psicoattitudinali e sporadicamente a cattedra di “stress management”, evidenziando insoddisfacenti risultati di prevenzione.
Servono ulteriori sforzi. Serve un vero e proprio protocollo psicologico di supporto, una rete di professionisti che monitori dall’interno e dall’esterno l’evoluzione del contesto relazionale ed individuale. Occorre una vera rivoluzione culturale rispetto al benessere psichico che non deve vedere colui che indossa la divisa immune da debolezze o criticità. Serve tanta informazione e prevenzione primaria e la creazione di sportelli di ascolto che possano lavorare e garantire il pieno anonimato.
Cari amici, di suicidi torneremo a parlare. Nei prossimi articoli tratteremo 5 aspetti che influenzano la vita di un Militare. Condividete l’articolo con amici e colleghi. Buona lettura!